Violenze ed abusi: quando il "soggetto" diventa "oggetto"



Possiamo guardare gli altri attorno a noi sia come "soggetti" e sia come "oggetti", privandoli della loro soggettività e di quel bagaglio interiore fatto di emozioni, affetti, relazioni e sentimenti. Possiamo trovare ciò alla base di alcuni comportamenti davanti ai quali rimaniamo sgomenti:

Il turismo sessuale, dove adulti si recano all'estero pronti ad avere rapporti sessuali con bambine e bambini disperati, senza alcun accenno di coscienza.  I bambini in questo caso non sono visti come bambini, ma come "oggetti" in grado di soddisfare ogni fantasia, fantasia che a quel punto non ha più nè quei freni e nè quei limiti che solo il riconoscimento di un altro essere umano può dare;

- Nella prostituzione, dove le prostitute rappresentano l' "oggetto" sessuale: se vedessimo le prostitute per ciò che sono, cioè soggetti, persone il più delle volte disperate e costrette a quella vita, con delle emozioni, preoccupazioni e sentimenti, non riusciremmo più ad andarci, in quanto è proprio negando loro la soggettività che possono diventare "oggetti" del desiderio. Bisogna privare la prostituta di tutta la propria storia, dei rimandi e delle attese e cadere così nell'illusione che ella esista solo ed esclusivamente in quel momento, nè prima nè dopo, senza passato e senza futuro. Così, una volta tolto il trascorso, non abbiamo più a che fare con una persona, ma con un oggetto, un oggetto sessuale, appunto.

- In tutte quelle occasioni in cui v'è l'annullamento dell'altro: omicidi, razzismo, sfruttamento, etc. Nella violenza domestica ad esempio l'altro è visto alternativamente prima come oggetto su cui scaricare rabbia, poi come soggetto a cui chiedere perdono.
Ma anche quell'indifferenza, colorata spesso da frasi ingiuriose, davanti alle tragiche vite dei migranti non è forse eco di questo sguardo che fa diventare l'altro un oggetto privo di qualunque soggettività?

Il paradosso è che privando l'altro della propria soggettività ci priviamo noi stessi della nostra: l'identità infatti si struttura solo nel rapporto con l'altro, in quell'incontro in cui è possibile riconoscere tracce delle proprie emozioni e sentire quelle dell'altro. 

L'Altro diventa "oggetto" soprattutto quando viene visto solo in base alla categoria dell'utilità. 
Se l'altro mi è utile, allora è lecito sopraffarlo per soddisfare i miei bisogni; se l'altro non mi è utile allora è lecito eliminarlo o emarginarlo. In entrambi i casi l'altro da soggetto diventa pericolosamente oggetto da manipolare. 

Ma è utile una cosa, non una persona: utilizzando lo stesso linguaggio sia per le cose che per le persone, si finisce per trattare le cose come persone e le persone come cose, in quella confusione in cui siamo soliti smarrire ogni traccia di noi stessi. S.C.